"CALCIO, POLITICA POTERE" - PRESENTAZIONE DEL LIBRO IN UNICOLLEGE FIRENZE

Intervista al Professor Mancini

  • Come nasce il progetto? Se vi conoscete da tempo, se ne avevate fatto una prima versione e soprattutto oltre alla passione per il calcio cosa, se c’è, vi accomuna?

 

Abbiamo unito una delle nostre passioni, il calcio, alla conoscenza e lo studio in ambito geopolitico. Nonostante le diverse provenienze, geografiche e professionali, siamo riusciti a mettere insieme un’idea comune, che da semplice passione, appunto, è diventata sempre di più un lavoro, che in questi due anni ci ha portato numerose soddisfazioni, alcune delle quali, come la menzione speciale al 56° Concorso Letterario Coni 2022, assolutamente inaspettate.

Il libro è appunto un grande esempio di lavoro di squadra. Siamo assolutamente convinti che ciò sia necessario quando si affronta un tema così ampio e con sfaccettature così diverse come la geopolitica. Quello che inizialmente poteva apparire come un ostacolo si è trasformato nella vera forza del nostro libro. La geopolitica, infatti, richiede necessariamente quelle competenze multidisciplinari che caratterizzano i nostri tre profili accademici e background professionali: Alessio Postiglione è giornalista professionista, esperto di marketing e comunicazione politica e grande conoscitore del mondo arabo e del Sahel. Valerio Mancini è specializzato in geoeconomia e sicurezza economica, criminalità organizzata e conosce molto bene alcune aree geografiche del mondo come l’America Latina (nello specifico Paesi come la Colombia e l’Argentina, storicamente protagonisti degli storici intrecci tra calcio, politica e criminalità). Narcís Pallarès-Domènech ha una grande conoscenza della geografia del calcio internazionale (club, nazionali e le varie competizioni che caratterizzano questo sport) così come della geografia delle lingue, i nazionalismi e le loro lotte geopolitiche per il controllo del territorio.

 

  • Noi siamo una facoltà di Mediazione Linguistica e in questo caso le lingue giocano sicuramente un ruolo da attaccanteQuanto incidono le lingue secondo te nel fenomeno dello sport in generale e del calcio in particolare?

 

Le lingue nello sport in generale e nel calcio in particolare hanno un impatto importante, come spieghiamo nel libro con diversi esempi. Molte società di calcio hanno la loro ragion d’essere nel voler rappresentare un’identità nazionale e allo stesso tempo una lingua come elemento culturale fondamentale. Le lingue, senza una coscienza nazionale, sarebbero una varietà fonetica, come disse il linguista catalano Rovira i Virgili. È il caso del Futbol Club Barcelona, una delle squadre più famose al mondo, il cui motto è “Més que un Club ” (Più che un Club). Il motivo è per il fatto che il Barça rappresenta la nazione catalana e allo stesso è uno dei principali promotori al mondo della propria lingua, il catalano, unico lingua ufficiale del club. Nel libro si analizza in profondità il caso del Barça e il suo rapporto con la lingua catalana.

 

Un altro esempio di cui parliamo nel libro è L’Europeada. Un  campionato europeo di calcio declinato sulla base delle minoranze linguistiche europee, organizzato dal FUEN (Federal Union of European Nationalities) e riservato alle selezioni delle minoranze linguistiche europee. L’Italia ha una partecipazione notevole con ben 4 squadre; il Sud Tirolo di lingua tedesca, la squadra Cimbra di Luserna, la squadra Ladina e la squadra Zile, rappresentanti della minoranza slovena. E’ prevista la futura partecipazione di una selezione friulana, che attualmente sta costituendo una propria squadra: “Selezion di Balon dal Friûl”.

 

Nel libro facciamo anche un breve accenno ad altri fenomeni dove il linguaggio ha una relazione con i conflitti geopolitici che sono rappresentati nel mondo del calcio. Ad esempio, in Argentina, dove il calcio è arrivato tramite la popolazione del Regno Unito che viveva lì, e dove il football si praticava inizialmente in modo esclusivo nelle scuole britanniche. La rivalità dei britannici con i “criolli” è la prima faglia calcistica in Argentina, che vede l’opposizione di molte squadre anglofone, a causa della lingua utilizzata nella trascrizione degli atti delle partite da parte delle squadre criolle che usavano la lingua castigliana al posto della lingua inglese.

 

Infine, nel libro si parla del fenomeno del calcio nazionale che si nutre di calciatori figli della diaspora. E un caso esploso negli ultimi Mondiali in Qatar, dove 137 calciatori non hanno rappresentato il proprio Paese di nascita ai Mondiali. Il Marocco, la squadra rivelazione del mondiale, è al vertice di questa classifica con ben 14 calciatori nati fuori dal territorio nordafricano, figli dell’emigrazione, specialmente in territorio francese. La cosa che più ha colpito i media marocchini e il mondo arabo che hanno seguito il campionato è stato che molti di questi calciatori oriundi avessero una conoscenza molto limitata e in alcuni casi pari a zero della lingua araba. Difendevano la maglia di una nazione, della quale non sapevano la propria lingua ufficiale, un fenomeno rilevante da osservare con dettaglio dal punto di vista geopolitico. Come scrisse il linguista catalano Antoni Rovira i Virgili “”Senza coscienza nazionale, la Terra è un paesaggio, la Storia è una fantasma, il Diritto una rutina e la Lingua una varietà fonetica”.

 

  • Il calcio di cui qui si parla è un fenomeno culturale, smuove masse e stimola l’appartenenza identitaria quali possono essere gli scenari futuri? I piccoli club, i ragazzi e le ragazze che si avvicinano a questo sport cosa possono imparare da questo libro?

 

Nel libro, analizziamo la teoria della “nazionalizzazione delle masse”, che si deve a teorici come George Mosse, Ernest Gellner, Benedict Anderson. Gli studiosi spiegano come il senso di appartenenza nazionale non sia innato, ma sia una ‘costruzione sociale’ prodotta attraverso una serie di regole e discipline. I mezzi di comunicazione, lo storytelling, i monumenti alla nazione, l’epica nazionale, la scuola, l’alzabandiera a scuola, lo sport. Il calcio, in modo particolare, ha avuto questa funzione. Perché? Perché proprio il calcio è una lotta simulata per la conquista dello spazio, il campo avverso, e, come noto, fra gli elementi costitutivi dello Stato c’è il territorio. Non a caso, il linguaggio del calcio è quello politico-militare: attacco, difesa, bomber. Ecco che, fra tutti gli sport che hanno favorito il processo di costruzione dei concetti di Stato e nazione, proprio il calcio è quello che ha rivestito il ruolo principale. Basti vedere quanto ha pesato il calcio nell’identità politica di Paesi come Uruguay, Brasile, Inghilterra, Scozia, ma anche della stessa Italia, con le vittorie di Pozzo, ottenute quando non ancora tutti gli italiani riuscivano a parlare in italiano e a comunicare fra di loro!

In questo contesto non possiamo esimerci dal sottolineare la questione “Superlega”, argomento di grande attualità e le cui ragioni e radici storiche sono ampiamente descritte nel nostro libro. Il progetto di una lega paneuropea, promosso e attualmente sostenuto da Juventus, Real Madrid e Barcellona, è una risposta diretta allo strapotere rappresentato dal monopolio di FIFA e UEFA e, nonostante lo shock iniziale, potrebbe davvero rappresentare una chiave di volta per l’identità stessa dell’Unione Europea. Esiste già infatti una “Superlega” e si gioca fuori dai confini UE, non a caso in Inghilterra, dove la Premier League sta giocando la Brexit calcistica, spodestando economicamente i campionati del Vecchio continente. Una lega “paneuropea” rappresenterebbe quindi a tutti gli effetti un possibile adeguamento ai nuovi scenari internazionali.

Vale la pena infatti ricordate che non parliamo di cifre comuni ad altri sport. I numeri del calcio e, per forza di cose, gli interessi che lo circondano, sono a dir poco impressionanti. Il pallone contribuisce con 47-50 miliardi di euro all’economia dell’UE. Circa il 20% di questo valore aggiunto è generato direttamente dai club e dalle federazioni nazionali. Ciò rappresenta il 25% dell’intero valore dell’industria del tempo libero nei Paesi UE.  Il calcio, inoltre,  – direttamente e indirettamente – assicura 700.000 posti di lavoro all’interno dell’area UE e genera un contributo fiscale annuo di 14-18 miliardi di euro.

Il calcio quindi è a tutti gli effetti un motore di benessere e quindi una vera calamita di interesse in tutto il Vecchio continente. Supera nettamente tutti gli altri sport in termini di pubblico (la finale di Euro 2020 tra Italia e Inghilterra è stato l’evento sportivo più visto di tutti i tempi) e attività sui social media (i 10 account sui social media delle squadre sportive più popolari al mondo sono appunto squadre di calcio europee).

Senza ombra di dubbio il calcio è anche un catalizzatore dell’identità europea. Nato e sviluppatosi in Europa, è ormai da anni un potente motore di connettività in tutto il continente, nonché – sempre di più – un bene da esportare che contribuisce alla promozione di un brand continentale universalmente riconosciuto. Inoltre, il calcio è percepito come strumento di integrazione europea e, come veicolo per la diffusione di principi e valori positivi (fair play, lotta al razzismo, uguaglianza e rispetto degli avversari) all’interno e oltre i confini dell’Europa.